Siamo immersi in un vuoto cosmico gigantesco: il suono del Big Bang ci ha dato qualche indizio

Nemmeno i più autorevoli esperti sono riusciti ad orientarsi. Ma ecco che potremmo avere un importante indizio già sotto i nostri occhi.
Quando si parla di vuoto cosmico in ambito astronomico si fa riferimento a regioni spaziali enormi, sostanzialmente prive della presenza di galassie, così come di stelle e persino di materia visibile.
Tuttavia, questa definizione viene indicata da alcuni come impropria, in quanto dire che siano completamente vuote non è pienamente esatto. E’ opportuno evidenziare, infatti, la presenza di radiazione, materia oscura e gas rarefatti.
Lo studio dei vuoti cosmici da parte degli esperti permette di comprendere maggiori informazioni circa l’Universo, la sua origine, il suo sviluppo evolutivo e la sua struttura a grande scala, che, seppur in continua espansione, lo caratterizza oggi.
Non è un caso che le spiegazioni e le ipotesi avanzate dai ricercatori relativamente all’origine cosmica si fondino inevitabilmente sul concetto di vuoto, specie se si approfondisce il tema nell’ambito della fisica teorica.
Una ricerca lunga e dispendiosa
L’intera Via Lattea, ma alcune ipotesi suggeriscono addirittura la porzione dell’Universo nella quale ci troviamo, potrebbe localizzarsi all’interno di un vuoto di bassa densità, se comparato al restante cosmo. A suggerirlo è una nuova ricerca, che inquadra la possibilità che la così detta tensione di Hubble sia una realtà con la quale l’intera comunità sarà chiamata a fare i conti nel prossimo futuro. Questo concetto, peraltro, sarebbe supportato dalle oscillazioni acustiche barioniche risalenti ai momenti di iniziale espansione dell’Universo.
La velocità di espansione dello stesso, se misurata con tecniche differenti assume valori profondamente diversi, portando a comprendere come se l’Universo locale si localizzasse all’interno di una bolla di Hubble a bassa densità riuscirebbe ad espandersi in modo più rapido rispetto al cosmo più ampio ad elevata densità, spiegando anche il modo in cui le osservazioni siano in grado di fornire valori più elevati circa la costante di Hubble.
Quali metodi di calcolo vengono schierati?
Il vuoto procede a svuotarsi e la velocità degli oggetti che si allontanano dalla porzione cosmica che occupiamo aumenta rispetto a quanto potrebbe fare nel caso in cui il vuoto non esistesse, fornendoci l’impressione di un tasso di espansione significativamente più rapido. Per procedere al calcolo della tensione di Hubble gli scienziati possono effettuare un’osservazione del fossile cosmico meglio noto come radiazione cosmica di fondo, campo di radiazione in grado di riempire l’intero cosmo. Osservando la CMB e calcolandone l’evoluzione attraverso l’impiego del modello LCDM (Lambda Cold Dark Matter Mode), è possibile ricavare il valore della costante di Hubble, non esclusivamente in riferimento ad una porzione locale, ma in tutto l’Universo. Gli astronomi, inoltre, possono sfruttare l’alternativa rappresentata dalle supernovae di tipo Ia, al fine di misurare le distanze dalle galassie che le ospitano, nonché la velocità con cui le stesse si allontanano tra loro. A scriverlo è Space.com