Il mistero della formazione di Mercurio è stato svelato: un dettaglio quasi ignorato nelle simulazioni potrebbe spiegarlo
L’imprevedibilità di questo Pianeta continua a stupire. Questo elemento potrebbe rispondere ad una domanda cruciale circa la sua formazione
Mercurio è il Pianeta più vicino al Sole per posizione all’interno del Sistema, caratteristica che contribuisce ad elevarne l’unicità e la curiosità che l’intera comunità astronomica ha da sempre riservato nei suoi confronti.
Parliamo di un corpo particolarmente piccolo, presentante un diametro pari a 4,879 km (poco più della Luna, per intenderci), la cui superficie è risultata essere ricca di crateri, secondo quanto è stato possibile rilevare nel corso delle varie osservazioni.
Dista circa 58 milioni di km dalla sua stella madre, il Sole, e si caratterizza per l’assenza quasi totale di atmosfera. Composta da elio, ossigeno e sodio, presenti solo in piccole tracce, non si è infatti mai rivelata capace di trattenere il calore dal Pianeta.
Anche per questo motivo, Mercurio si caratterizza per un clima estremo, contrassegnato da un’escursione termica a dir poco drastica tra il giorno e la notte, data l’assenza di un’atmosfera che svolga un ruolo protettivo: per questo, non è raro passare dai -180°C della notte ai 430°C del giorno.
Molti punti interrogativi irrisolti
Il processo di formazione di Mercurio resta ancora intriso di misteri ai quali appare difficile definire una spiegazione concreta. Il suo nucleo metallico, infatti, corrisponde circa al 70% della sua massa complessiva, mentre il mantello roccioso si presenta come non eccessivamente esteso. La comunità ha da sempre convenuto su un’ipotesi comune: quella che spiegava come Mercurio fosse stato costretto a perdere la propria crosta e il proprio mantello a seguito di una collisione con un altro corpo celeste.
Ma ecco arrivare un’alternativa che potrebbe rivoluzionare totalmente la concezione degli esperti circa il Pianeta. All’interno di uno studio pubblicato su Nature Astronomy, svolto dall’astronomo Patrick Franco, viene spiegato come l’esecuzione di una specifica simulazione ha permesso di dimostrare come il processo di formazione di Mercurio, probabilmente, non abbia mai subito influenza da collisioni eccezionali, ma più da parte di un impatto radente tra due protopianeti di simile massa.
La direzione da intraprendere
Trattandosi di un’eventualità più comune, è parso naturale procedere i propri approfondimenti nella direzione di questo scenario. Per farlo i ricercatori si sono avvalsi del metodo SPH, ossia dell’idrodinamica delle particelle levigate, funzionale poiché in grado di simulare materiali solidi, ma anche liquidi e gas nel pieno del movimento. Questo modello può rivelarsi in grado di produrre i risultati auspicati anche relativamente allo studio concentrato su altri pianeti rocciosi e sulla loro formazione. I prossimi passi previsti nel merito della ricerca mercuriana sono da ricercare nel confronto che verrà effettuato tra dati geochimici provenienti direttamente da missioni spaziali mirate verso mercurio, tra le quali la BepiColombo, opera congiunta della JAXA e dell’ESA. Nonostante, dunque, Mercurio resti ancora il Pianeta in assoluto meno esplorato dell’intero Sistema, ci prepariamo a vivere un’era di grandi novità, in termini di sistemi da sfruttare e non solo. A riportarlo è Phys.org.
