Si è svegliato dopo 12.000 anni e nessuno se lo aspettava: il gigante ha lasciato gli scienziati senza parole

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Nel cuore del deserto etiope, qualcosa di enorme si è risvegliato senza alcun preavviso. Un’ombra antica, dimenticata da millenni, ha squarciato il silenzio con un boato che ha superato la portata dell’immaginazione scientifica.

Per secoli, e forse molto di più, quel gigante era rimasto immobile, nascosto dietro distese aride e cartografie incomplete. Nemmeno gli strumenti moderni avevano osato disturbarlo davvero: troppo isolato, troppo quieto, troppo simile a un fossile geologico per meritare attenzione. Nessuno scienziato, nessun satellite, nessun laboratorio lo aveva inserito nelle priorità.

Poi, all’improvviso, una colonna nera si è alzata dal nulla, attraversando l’atmosfera fino a oltre quattordici chilometri di quota. Il cielo si è oscurato, la terra ha tremato, e un nome sconosciuto è comparso sulle bocche di scienziati e osservatori internazionali: Hayli Gubbi. Il suo ritorno ha colto tutti impreparati, come se un tempo perduto si fosse riattivato da solo, senza che nessuno avesse notato i segnali.

Nascosto tra le distese aride e poco popolate del nord-est etiope, Hayli Gubbi non era mai stato oggetto di particolare attenzione. Considerato un vulcano silente, relegato ai margini della geografia attiva africana, non mostrava segni evidenti di turbolenza geologica. 

La sua inattività documentata, risalente a più di dodicimila anni fa, lo aveva collocato fra i giganti dormienti. Fino a quando, in una domenica qualsiasi di novembre 2025, una colonna di cenere alta oltre quattordici chilometri ha squarciato il cielo sopra la Rift Valley.

Il contesto invisibile sotto i nostri occhi

Hayli Gubbi è un vulcano a scudo, simile per struttura a quelli hawaiani, noti per le loro colate lente e persistenti. Non ci si aspetta, da queste formazioni, esplosioni violente e nubi eruttive imponenti. Ma il vulcano etiope ha infranto le regole, generando un’eruzione esplosiva che ha lasciato perplessi i geologi. La spiegazione risiede nella sua posizione: il vulcano si trova lungo la Rift Valley africana, dove le placche africana e araba si stanno separando a una velocità di circa uno o due centimetri l’anno.

In questa zona, il mantello terrestre è sottile, e il materiale fuso ha un accesso facilitato verso la superficie. Le tensioni tettoniche accumulano energia e permettono intrusioni magmatiche profonde, anche a distanza di millenni. In effetti, segnali satellitari avevano mostrato, già a luglio, un sollevamento del terreno e la presenza di vapori in quota. Ma la comunità scientifica, pur registrando questi dati, non aveva previsto un’eruzione imminente.

Il risveglio e la nuova corsa alla conoscenza

Come riportato da Scientific America, il vero punto di svolta è stato l’eruzione del vicino vulcano Erta Ale, che ha preceduto di poco quella di Hayli Gubbi. I modelli geofisici indicano che un’intrusione magmatica si è estesa per oltre trenta chilometri sotto la superficie, collegando i due apparati. Questo flusso sotterraneo potrebbe aver innescato il risveglio del gigante dormiente.

Ora, l’interesse scientifico si è riacceso. Derek Keir, presente in Etiopia al momento dell’eruzione, ha raccolto campioni della cenere per analizzarne la composizione. Le analisi permetteranno di ricostruire la dinamica interna dell’eruzione e stabilire se davvero Hayli Gubbi era rimasto inattivo per dodicimila anni o se si tratta solo di un buco nella nostra conoscenza. Un vuoto che, con ogni probabilità, nasconde ancora molte altre sorprese.

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