Questo batterio comune potrebbe essere la chiave per combattere l'inquinamento da PFAS: ha un comportamento che si pensava impossibile

Uno studio americano mostra che un batterio fotosintetico assorbe le sostanze “eterne” PFAS: una scoperta sorprendente che apre nuove prospettive per la bonifica biologica dell’ambiente.
Negli ultimi anni, i cosiddetti PFAS, le “sostanze chimiche eterne”, sono diventati sinonimo di inquinamento resistente, difficile da rimuovere e potenzialmente tossico per ambiente e salute umana. Ma oggi un batterio diffusissimo potrebbe offrire una speranza inaspettata.
Ricercatori dell’Università del Nebraska-Lincoln hanno scoperto che Rhodopseudomonas palustris, un microbo fotosintetico comune in natura, è in grado di assorbire uno dei PFAS più persistenti: l’acido perfluorottanoico (PFOA).
Lo fa integrandolo nella propria membrana cellulare, un comportamento mai osservato prima.
Sebbene il batterio non riesca ancora a degradare la sostanza, questa capacità di “catturare” i PFAS rappresenta un primo passo promettente verso soluzioni biologiche per affrontare un problema globale.
Un primo passo nella lotta contro i PFAS
Durante test di laboratorio, R. palustris è riuscito a rimuovere circa il 44% del PFOA presente nell’ambiente entro 20 giorni. Tuttavia, una parte del composto è tornata nell’acqua successivamente, probabilmente a causa della lisi cellulare (rottura delle cellule batteriche).
Questo comportamento suggerisce che il batterio possa funzionare come una sorta di “spugna temporanea” per i PFAS. Secondo i ricercatori, si tratta comunque di una base solida da cui partire per migliorare le capacità del microbo attraverso modifiche genetiche o tecniche di biologia sintetica.
Collaborazione tra discipline per un obiettivo comune
Il progetto è nato dall’unione tra competenze diverse: da un lato la biologia molecolare e la microbiologia del team di Rajib Saha, dall’altro la capacità di rilevamento chimico avanzato del laboratorio di Nirupam Aich. Grazie a questa sinergia, è stato possibile monitorare con grande precisione l’assorbimento del PFOA da parte del batterio e comprenderne il comportamento nei diversi stadi di crescita.
I risultati confermano che l’approccio biologico (seppur ancora in fase iniziale) potrebbe diventare un’arma efficace contro l’inquinamento da PFAS. Il prossimo passo? Migliorare la stabilità del batterio e potenziarne la capacità di degradazione. Se questi obiettivi saranno raggiunti, R. palustris potrebbe diventare il primo tassello di una strategia biologica per ripulire suoli e acque da composti altrimenti quasi indistruttibili.
Collaborazione tra discipline per un obiettivo comune