"Ogni volta che tolgo il cappello mi si rizzano i capelli", un fastidio molto comune: la spiegazione arriva da un concetto fisico elementare

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Un gesto quotidiano, come togliersi il cappello in inverno, può trasformarsi in un piccolo spettacolo. I capelli si sollevano come se fossero vivi e sfidano la gravità, mentre una scarica sottile ci attraversa le dita. 

Succede più spesso con cappelli di lana, in giornate secche e fredde. Il fastidio è lieve ma inconfondibile: una sensazione pungente e un effetto visivo che non passa inosservato. Dietro a questi episodi comuni si cela un concetto fondamentale della fisica, spesso sottovalutato ma essenziale per comprendere il comportamento della materia. 

Parliamo di elettricità statica, e la sua origine è sorprendentemente elementare. Ogni oggetto, incluso il nostro corpo, è composto da atomi. Questi, a loro volta, sono formati da particelle ancora più piccole, tra cui gli elettroni, dotati di carica negativa.

In condizioni normali, il numero di elettroni e protoni è equilibrato, e l’atomo è neutro. Ma basta un contatto prolungato o uno sfregamento per alterare questo equilibrio: gli elettroni possono trasferirsi da una superficie all’altra, lasciando una delle due carica positivamente e l’altra negativamente.

La lana, ad esempio, tende ad attirare elettroni. Quando il cappello sfrega contro i capelli, strappa via parte della loro carica negativa. I capelli, diventati tutti positivi, iniziano a respingersi tra loro. Non potendo allontanarsi fisicamente, si sollevano in direzioni opposte, producendo quell’effetto “a criniera” che tanto ci infastidisce.

La fisica invisibile del quotidiano

Questo fenomeno, chiamato elettricità statica, è un caso di accumulo di cariche senza movimento continuo. A differenza della corrente elettrica, qui le cariche si fermano in superficie fino a trovare un punto di scarica. L’aria secca, tipica dei mesi invernali, rende questo accumulo più facile: l’umidità infatti funziona da conduttore naturale, permettendo alle cariche di disperdersi. In sua assenza, invece, restano intrappolate, pronte a colpire al primo contatto.

Il principio che regola questo scambio si basa sulla cosiddetta serie triboelettrica, una classificazione dei materiali in base alla loro tendenza a cedere o ad attirare elettroni. Alcuni, come la plastica o la gomma, rilasciano elettroni facilmente. Altri, come il vetro o il cotone, li assorbono. Sapere quali materiali interagiscono tra loro può aiutare a ridurre l’accumulo di cariche.

Lo stesso principio che accende il cielo

La scarica che sentiamo toccando una maniglia dopo aver camminato su un tappeto sintetico è parente stretta di un evento molto più spettacolare: il fulmine. All’interno delle nuvole, il moto turbolento dell’aria carica elettricamente le particelle d’acqua e di ghiaccio. Quando la differenza di potenziale tra la nuvola e il suolo diventa eccessiva, avviene una scarica improvvisa: un flusso violento di elettroni che si manifesta con luce, calore e suono.

La legge fisica che governa questi fenomeni si chiama conservazione della carica elettrica: nessuna carica si crea o si distrugge, si limita a spostarsi. Anche il gesto più banale, come passarsi una maglia sintetica sulla testa, obbedisce a questo principio. Ed è in queste piccole scariche che la fisica, con tutta la sua potenza, ci ricorda che nulla è davvero scontato. Nemmeno i capelli che si rizzano.

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