Non credevo più in me, poi ho fatto queste 7 cose

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Quel momento in cui smetti di piacerti può essere l’inizio di qualcosa di nuovo.

Non sempre accade all’improvviso, ma quando succede lo riconosci subito. Ti senti stanco, fuori posto, un po’ spento. Guardi il riflesso nello specchio e pensi che qualcosa si è rotto, o forse non c’è mai stato. Non è drammatico, ma è profondo. E cominci a chiederti: come si ricostruisce la fiducia in sé stessi quando sembra sparita?

Crescere e invecchiare è un processo fatto di piccoli crolli e ripartenze silenziose. L’adolescenza, l’inizio dell’età adulta, ma anche momenti più avanzati della vita, portano tutti la stessa domanda: chi voglio essere? E, soprattutto, mi basta quello che vedo? È qui che comincia il lavoro, il tipo di lavoro che non si nota da fuori, ma che cambia tutto.

Il punto di partenza non è cambiare per piacere agli altri. È imparare a riconoscere quando il giudizio esterno si è infilato dentro, modificando anche quello che pensiamo di noi. Le parole pesano, anche se dette per caso. Spesso sono quelle ricevute per prime a fare più rumore: troppo magro, troppo grasso, troppo poco. In realtà non esiste un “troppo” universale, esiste solo il modo in cui ci raccontiamo ogni giorno.

Un percorso di ricostruzione non ha mai un solo significato, ma ha sempre un primo passo. Per qualcuno è il corpo, per altri la mente, per altri ancora la gestione delle proprie giornate. Fidarsi di sé significa imparare a camminare con lentezza, non aspettarsi soluzioni immediate, accettare che tutto richiede tempo. Anche il sentirsi bene.

Camminare, correre, respirare

Imparare a camminare significa imparare a vivere i propri processi senza fretta. Non tutto va fatto oggi. Non tutto deve essere risolto subito. L’obiettivo non è correre per finire prima, ma dare spazio alla qualità di ciò che si fa. Poi, però, arriva anche il momento di correre davvero. Lo sport, la corsa, il movimento: sono strumenti essenziali. Non solo per la salute, ma per rimettere in circolo l’energia. Una mente che si muove parte spesso da un corpo che si muove.

Non basta. Serve anche un altro gesto, meno visibile ma decisivo: pensare positivo. Non in modo superficiale, ma come esercizio concreto. Guardare a ciò che si ha, invece che a ciò che manca. Coltivare gratitudine, esercitare la gentilezza, anche verso sé stessi. È un atto volontario, non un trucco mentale. E come ogni atto volontario, diventa più forte con l’allenamento.

Imparare a guardarsi con occhi nuovi

Essere positivi non significa ignorare i problemi, ma scegliere di cercare soluzioni. Concentrarsi su ciò che si può fare, non su ciò che non si controlla. È un cambio di prospettiva che fa spazio a un’altra cosa fondamentale: l’altruismo. Aiutare gli altri, ascoltarli, offrire qualcosa di sé anche quando si è fragili, costruisce un’identità nuova. Rafforza la fiducia.

Infine, arriva l’autonomia. Non come dovere, ma come conquista. Farsi il letto, prepararsi la colazione, iniziare a guadagnare qualcosa, imparare a gestire una difficoltà senza chiedere sempre aiuto. Sono gesti semplici, ma contengono dentro di sé la frase che cambia tutto: ce la posso fare. Ed è lì, in quel momento di solitudine piena, che cominci a ritrovarti. Non perché sei diventato perfetto, ma perché hai cominciato ad amarti. E a crederci davvero.

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