"Mi metto sotto l'ombrellone così non mi abbronzo", attenzione alla credenza popolare: d'ora in poi fai sempre così

L’ombrellone è l’arma più potente per proteggersi dal sole. Eppure, la situazione è molto diversa e particolare.
Con l’arrivo dell’estate, il pensiero corre spesso al colore della pelle. L’abbronzatura, per molti, è sinonimo di vacanza, di mare e di giornate spensierate sotto il sole. È quasi un rituale stagionale, cercato e atteso con impazienza.
Non si tratta soltanto di un fatto estetico: dietro la tintarella c’è anche il fascino di un cambiamento che accompagna l’estate. La pelle che si scurisce diventa simbolo di tempo libero e relax, come un segno che porta addosso le tracce di momenti vissuti all’aria aperta.
C’è poi chi, al contrario, preferisce mantenere la pelle chiara e teme gli effetti a lungo termine dei raggi solari. In entrambi i casi, però, l’abbronzatura rimane un tema centrale, che mette insieme desiderio e prudenza.
La domanda che ci si pone spesso è semplice ma spinosa: siamo davvero protetti quando non ci esponiamo direttamente al sole? Ed è qui che entra in gioco un aspetto che non tutti conoscono.
Ombra e abbronzatura
Molte persone aspettano con impazienza l’arrivo dell’estate per una sola ragione: l’abbronzatura. La cosiddetta tintarella è vista da tanti come un traguardo stagionale, un segno di vacanza e relax. Ma la verità è che non ci si colora soltanto stando sdraiati al sole. Ci sono anche quelli che, al contrario, preferirebbero evitare di scurirsi la pelle. Per loro la protezione è fondamentale, perché non sempre stare al riparo vuol dire essere davvero al sicuro. E qui nasce il dubbio più comune: se si sta sotto l’ombrellone, davvero non ci si abbronza?
Immaginiamo la scena: spiaggia, sole “a catinelle”, e dopo una bella mangiata, magari una parmigiana di quelle pesanti, arriva il momento di stendersi sotto l’ombrellone. Niente crema protettiva, tanto la convinzione è che il tessuto basti a fermare i raggi. Eppure le cose non sono così semplici. Anche all’ombra, la fisica ci ricorda che il corpo continua a ricevere radiazione ultravioletta. E non si tratta di un dettaglio da poco: parliamo dei raggi responsabili non solo dell’abbronzatura, ma anche dei principali danni alla pelle.
Cosa dice la fisica
I raggi ultravioletti, quelli che stimolano la produzione di melanina, arrivano al nostro corpo in due modi diversi. Ci sono i raggi diretti, che sembrano bloccati dal tessuto dell’ombrellone, e poi ci sono quelli riflessi, che rimbalzano sulle superfici attorno a noi. Proprio i raggi riflessi sono impossibili da evitare. Il raggio ultravioletta colpisce la sabbia, l’acqua o le rocce e viene deviato verso chi si trova nelle vicinanze. Più chiare sono le superfici circostanti, maggiore sarà la quantità di raggi che ci raggiungerà. Sabbia bianca o scogli molto chiari, ad esempio, aumentano di parecchio l’esposizione.
E i raggi diretti? Anche qui la risposta sorprende. Nonostante l’apparente protezione, una parte della radiazione riesce a filtrare attraverso il tessuto dell’ombrellone. Non tutti i materiali, infatti, bloccano completamente gli ultravioletti, e così una frazione passa e arriva fino alla pelle. Questo significa che, anche restando sotto l’ombrellone per ore, ci si abbronza comunque. Per questo motivo è meglio far uso di creme solari ad alta protezione anche quando non si è esposti direttamente al sole. La schermatura parziale non basta: i raggi riflessi e quelli che attraversano il tessuto continuano a colpire la pelle, e senza precauzioni gli effetti si fanno sentire nel tempo.