"L'Universo è una simulazione", lo abbiamo sentito dire tante cose: ora gli scienziati hanno trovato la verità dietro a questa frase
Alcuni scienziati di un certo spessore hanno dedotto che potremmo vivere in una sorta di mondo simulato.
Da decenni, fisici e filosofi si interrogano su un ipotesi tanto affascinante quanto inquietante che vede il nostro universo come se fosse una simulazione. L’idea, resa popolare anche da film come Matrix, nasce da una riflessione logica e scientifica, ovvero quella di una civiltà tecnologicamente avanzata in grado di creare simulazioni perfette della realtà, con esseri senzienti al loro interno.
Questa teoria, nota come ipotesi della simulazione, è stata formulata in modo rigoroso dal filosofo Nick Bostrom nel 2003. Egli sostiene che, data la rapidità con cui la tecnologia informatica avanza, è probabile che civiltà future possano riprodurre universi virtuali indistinguibili dal reale.
Dal punto di vista scientifico, alcuni ricercatori hanno tentato di individuare “tracce digitali” nel cosmo, come incongruenze nella struttura dello spazio-tempo o limiti fondamentali all’energia delle particelle, che potrebbero indicare un universo “programmato”.
Non esistono però prove concrete, e la maggior parte degli scienziati considera questa teoria più un esercizio di pensiero che una realtà verificabile. Ciononostante, l’ipotesi della simulazione tocca profondamente la filosofia e la coscienza umana.
È tutto un’illusione?
Se la realtà fosse davvero un’illusione creata da una mente o da una macchina superiore, cosa significherebbe per il libero arbitrio, la moralità o persino per il concetto di verità? Alcuni sostengono che la scoperta di vivere in una simulazione non cambierebbe nulla di essenziale: la nostra esperienza, per quanto artificiale, resterebbe reale per noi.
L’idea dell’universo come simulazione è un punto di incontro tra scienza, filosofia e fantascienza. Anche se oggi rimane un’ipotesi non dimostrata, ci invita a riflettere sui limiti della conoscenza umana e sul rapporto tra realtà, percezione e tecnologia.

Cosa pensano i fisici
Come riporta Science Daily, uno studio parte dall’idea che una simulazione sarebbe, per definizione, un processo algoritmico, cioè un insieme di regole e calcoli che un computer esegue. I ricercatori applicano il teorema di incompletezza di Gödel, che dice in termini semplici che in qualunque sistema formale sufficientemente potente esistono enunciati veri che non possono essere dimostrati all’interno di quel sistema.
Tradotto in chiave computazionale ci sono verità che nessun algoritmo finito può derivare. Poiché una simulazione è un sistema algoritmico, l’argomento sostiene che non potrebbe riprodurre quelle verità “gödeliane” e dunque non potrebbe essere una descrizione esaustiva della realtà. La conclusione che ne deriva è che l’universo non è riconducibile del tutto a procedure computazionali ma esisterebbe uno strato platonico di informazione o verità non catturabile da un calcolo.