"I voti non contano", è inutile che vi arrabbiate: parola del prof

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Vi hanno fatto credere che i voti definiscano il vostro valore, ma è un’illusione educativa.

Ci abituiamo presto a considerarli come indicatori oggettivi, precisi, indiscutibili. A ogni numero assegnato segue un giudizio implicito: sei bravo, non lo sei, ti impegni abbastanza, hai deluso. Ma in realtà quei numeri, pur essendo ovunque, non dicono nulla di vero su chi siamo. Eppure, continuiamo a considerarli strumenti insostituibili, ignorando la loro natura fragile, temporanea e in gran parte arbitraria.

Il sistema scolastico ha trasformato la valutazione in un rito automatico, senza interrogarsi più di tanto su cosa un voto rappresenti davvero. È diventato normale ridurre esperienze complesse a un’unica cifra, saltando ogni tentativo di descrizione più ricca e sfumata. Per molti studenti, quel numero finisce per pesare più del percorso stesso. Ma è un’illusione costruita attorno a uno strumento che, in fondo, nasce per semplificare, non per spiegare.

Un compito, un’interrogazione, un esame: momenti circoscritti, legati a un contesto preciso, a volte persino a un giorno stonato. Eppure, da lì si pretende di ricavare un giudizio complessivo. La realtà, invece, è fatta di traiettorie, non di istantanee. Un voto non coglie l’evoluzione, ignora la fatica, dimentica i contesti. E soprattutto, non è mai definitivo, anche se spesso ci viene presentato come tale.

I numeri, per loro natura, sono strumenti astratti. Un sette non racconta nulla di chi l’ha preso, non spiega come ha studiato, cosa ha capito, dove ha sbagliato o quanto ha imparato rispetto al giorno prima. Non distingue tra attenzione, intuizione, memoria o fortuna. Soprattutto, non riflette mai la persona intera. Ed è qui il nodo: confondiamo l’esito con l’identità, quando invece sono due cose profondamente diverse.

La fragilità strutturale della valutazione numerica

Un numero nasce sempre come risultato di un processo. E proprio per questo dovrebbe essere considerato provvisorio, non assoluto. Lo si dimentica troppo spesso. Un quattro oggi non impedisce un dieci domani, e viceversa. Niente di ciò che è misurabile in quel modo resiste davvero al tempo. Anche perché, con il tempo, cambiano le competenze, le motivazioni, le condizioni. E cambia anche il valore stesso che attribuiamo a quel numero.

La verità è che i voti passano. Si dimenticano i numeri della maturità, quelli dell’università, persino quelli degli esami più importanti. Resta invece ciò che si è costruito nel tempo: la capacità di affrontare la complessità, di imparare da sé, di sbagliare e ricominciare. In questo senso, i voti non sono dannosi, ma semplicemente innocui: non mordono, non definiscono, non incidono, se non li si lascia penetrare dove non dovrebbero arrivare.

Il voto non dice chi sei

Il rischio è trasformare un risultato temporaneo in un’etichetta permanente, come se un numero potesse raccontare il valore complessivo di una persona. Non lo fa. Nessuno è il proprio sei, il proprio quattro o il proprio nove. La vita non funziona per medie, e il mondo fuori dalla scuola raramente chiede numeri. Chiede piuttosto resilienza, curiosità, capacità di adattamento.

L’identità, a differenza del voto, non si assegna. Si costruisce, si affina, si scopre con il tempo, vivendo e facendo. E la cosa più importante è non smettere mai di provarci, indipendentemente da quanto racconta un registro elettronico. Perché, in fin dei conti, il voto può solo valutare ciò che è accaduto. Mai quello che sei capace di diventare.

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