Gli scienziati pensavano si fosse fermato ma continua tuttora ad allargarsi di 0,5 mm all’anno: cosa hanno scoperto

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Per milioni di anni si è pensato che il processo fosse concluso, congelato nel tempo. Eppure, una serie di segnali quasi invisibili ha spinto alcuni geologi a rimettere in discussione tutto.

La storia del Golfo di Suez è quella di una spaccatura tra continenti che avrebbe potuto diventare oceano. Ventotto milioni di anni fa, la placca araba iniziò ad allontanarsi da quella africana, dando origine a un rift che si estende per centinaia di chilometri. 

Poi, secondo la ricostruzione classica, questo processo si interruppe improvvisamente circa cinque milioni di anni fa, lasciando dietro di sé una struttura geologica incompiuta. Nel tempo, il Golfo è stato considerato uno dei migliori esempi di rift fallito: un sistema che inizia a divergere ma che non riesce a evolversi pienamente. 

Tuttavia, alcuni indizi hanno sempre disturbato questa narrazione. Eventi sismici isolati, lievi deformazioni del suolo, antiche barriere coralline sollevate sopra il livello del mare: segnali sparsi, mai unificati da un’interpretazione coerente.

Il punto di svolta è arrivato quando un gruppo di ricerca ha deciso di studiare con nuovi strumenti il paesaggio e la geologia del rift. In particolare, si sono concentrati sulla morfologia dei fiumi, la posizione delle faglie e l’altitudine di elementi costieri che un tempo erano allineati con il livello marino. Le anomalie riscontrate non potevano più essere attribuite solo all’erosione o a processi climatici.

Un’erosione che non basta a spiegare

Analizzando le tracce morfologiche lungo l’intero rift del Golfo di Suez, lungo circa 300 chilometri, i ricercatori hanno identificato delle pendenze fluviali incoerenti e sollevamenti del terreno incompatibili con un sistema tettonico inattivo. Anche i coralli fossili, oggi sollevati fino a 18 metri sopra il mare, raccontano una storia diversa: quella di un paesaggio in continua, seppur lenta, trasformazione.

Questi dati, interpretati alla luce di modelli geodinamici attuali, suggeriscono un quadro più complesso. Il rift non si è mai del tutto arrestato, ma ha semplicemente rallentato. Una forma di attività geologica “silenziosa”, che richiede strumenti avanzati per essere riconosciuta ma che, nel lungo periodo, ha effetti misurabili.

Lo spostamento continua, ma quasi nessuno se ne accorge

Secondo lo studio pubblicato su Geophysical Research Letters, il Golfo di Suez continua ad allargarsi a una velocità di circa 0,5 millimetri l’anno. Una deformazione minima, invisibile su scala umana, ma rilevante in scala geologica. È un tasso simile a quello di regioni attive come l’ovest degli Stati Uniti, dove la crosta si allunga generando montagne e valli.

Questa scoperta cambia radicalmente la visione tradizionale dei rift: non sono solo successi o fallimenti, ma possono anche vivere in uno stato intermedio di attività rallentata. Il Golfo di Suez, che sembrava fermo, è in realtà ancora in movimento. E questo ha implicazioni profonde, anche per la valutazione del rischio sismico e la comprensione della dinamica tettonica globale.

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