E se la chiave contro ansia e depressione fosse nascosta nel nostro intestino?

Una patologia che spaventa e mette in ginocchio tantissimi pazienti. La risoluzione definitiva potrebbe trovarsi già tra le nostre mani?
La depressione è sicuramente uno dei disturbi maggiormente allarmanti che può colpire l’umore delle persone, soprattutto per la sua durata e per la difficoltà nel trattamento. Non si tratta, infatti, di una condizione transitoria, ma di un problema che può perdurare fino a mesi o anni.
Tra i sintomi che potrebbero far insospettire (perché non è scontato che un soggetto depresso si renda conto effettivamente di trovarsi in questa condizione), sono la perduranza dell’umore “depresso”, la perdita di interesse verso le attività e gli hobby ideali, oltre alla mancanza di energia.
Generalmente i tentativi terapici più frequenti per trattare la patologia si basano sull’utilizzo di farmaci, quali antidepressivi, che possono essere assunti esclusivamente sotto prescrizione medica. In alternativa, un processo spesso fruttuoso è quello mirato verso la psicoterapia.
Lo stile di vita, in altri casi, può aiutare a risollevarsi da una condizione tanto debilitante. Dormire un quantitativo di ore sufficienti, praticare attività fisica regolarmente e seguire un’alimentazione equilibrata possono alla lunga rivelarsi utili, soprattutto se abbinati a tecniche di rilassamento.
Un trattamento totalmente rivoluzionario
A destare particolare interesse è stato il caso specifico di un uomo, sofferente per diversi anni di una forma di depressione particolarmente estesa, che ha dichiarato di aver provato molteplici strumenti per cercare di trovare sollievo, non riuscendo mai a raggiungerlo definitivamente: almeno fino a quando non è venuto in contatto con una sperimentazione clinica totalmente differente e drasticamente rivoluzionaria rispetto a tutto ciò che aveva tentato sino a quel momento.
Era la primavera del 2023 quando Moseson, il nome del paziente affetto da depressione, aveva scoperto di uno studio espressamente a chi si trovava a fronteggiare una simile patologia e che non aveva ottenuto beneficio alcuno dai metodi fino ad allora testati. Ma in cosa consisteva? Una procedura che prevedeva un trapianto di microbiota fecale, ossia nello spostamento delle feci di un soggetto sano, un vero e proprio donatore, all’interno del tratto gastrointestinale dell’utente affetto da depressione.
Gli effetti prodotti
Si trattava soltanto di una sperimentazione, peraltro non efficace al 100% su tutti i partecipanti, ma che su Moseson ha sortito gli effetti sperati, a tal punto che, per stessa ammissione del soggetto, “nel giro di una settimana, sentivo che il mio cervello si fosse rinfrescato”. La direzione di tale studio è stata svolta dalla psichiatra Valerie Taylor dell’Università di Calgary, in Canada.
Come pubblicato sulla rivista Nature, sulla scia di alcune sperimentazioni datate già 2016, la Taylor comprese come se si fosse riusciti a compiere concreti passi avanti nel trattamento, magari nella definitiva cura di una patologia tanto ostica e delicata, risultati favorevoli avrebbero potuto portare speranza anche nell’ambito della risoluzione di ulteriori disturbi a danno del corpo umano. I risvolti ottenuti durante l’effettuazione delle sperimentazioni hanno persuaso il team a proseguire; nello specifico, sono attualmente in corso ben tre studi clinici incentrati sulla depressione e sui disturbi ossessivi-compulsivi.