Dislessia e problemi con lo studio: 3 consigli per migliorare velocemente

A scuola non basta impegnarsi: per alcuni studenti, il cammino dello studio è segnato da ostacoli invisibili che rendono più faticoso ciò che per altri sembra naturale.
Nel contesto scolastico odierno, le differenze nei processi cognitivi sono sempre più riconosciute e rispettate, ma ciò non significa che ogni studente si senta compreso e sostenuto allo stesso modo.
In particolare, chi convive con un disturbo specifico dell’apprendimento, come la dislessia, deve spesso fare i conti con un doppio carico: il lavoro quotidiano richiesto dallo studio e la gestione emotiva del proprio modo di apprendere, spesso vissuto con imbarazzo o frustrazione. Ma affrontare queste difficoltà con consapevolezza e metodo può fare la differenza.
Per questo motivo, parlare apertamente delle difficoltà è un primo passo fondamentale. La tendenza a nascondere o minimizzare un disturbo come la dislessia nasce spesso dal timore di essere giudicati, ma finisce per isolare proprio nel momento in cui si avrebbe più bisogno di supporto. Condividere le proprie sfide non è un atto di debolezza, ma di maturità: è così che si costruisce un ambiente scolastico realmente inclusivo.
Anche il ruolo dei docenti è cruciale. L’efficacia di uno strumento compensativo, ad esempio, non può essere valutata solo sulla carta, serve un confronto continuo con lo studente per capire se quella strategia funziona davvero. L’apprendimento è sempre un processo a due vie, in cui chi insegna deve essere pronto ad ascoltare, adattare, ricalibrare.
Piccoli cambiamenti, grandi progressi
Il primo consiglio concreto riguarda il riconoscimento della propria identità di apprendimento. Un ragazzo dislessico non deve sentirsi obbligato a nascondere il proprio profilo cognitivo. Mostrarsi per come si è, con le proprie modalità, significa permettere agli altri di comprendere meglio e, di conseguenza, aiutare in modo più efficace. Questo vale in classe, tra pari, ma anche nel rapporto diretto con i docenti.
In secondo luogo, è fondamentale imparare a restituire un feedback preciso su ciò che funziona e ciò che non funziona nel percorso didattico. Se una mappa concettuale non è utile, se l’uso del computer migliora la resa, se la velocità della lezione crea difficoltà, è giusto dirlo. Ogni adattamento è davvero efficace solo quando nasce dal confronto diretto con chi lo utilizza.
Oltre la compensazione
Il terzo consiglio è forse il più delicato: non accontentarsi. Gli strumenti dispensativi sono importanti, ma non devono diventare una zona di conforto in cui ci si rifugia. L’obiettivo non è fare il minimo indispensabile, ma continuare a sfidare sé stessi in modo realistico, cercando ogni giorno di fare un passo avanti. Questo atteggiamento non è solo una spinta al miglioramento personale, ma un modo per riaffermare il proprio diritto a crescere, imparare e riuscire con le proprie forze.
Accettare un disturbo specifico dell’apprendimento non significa rinunciare all’ambizione. Al contrario, significa trovare nuovi percorsi per raggiungere obiettivi significativi, con consapevolezza, strumenti adeguati e la fiducia di chi accompagna il percorso.
