Avere successo in questo mestiere aumenta il rischio di morte rispetto ai colleghi meno noti

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Dietro l’apparenza dorata del successo, si nasconde una statistica inquietante che sta facendo riflettere anche il mondo accademico.

Ogni epoca ha i suoi miti scomparsi troppo presto: nomi celebri, volti noti, voci inconfondibili che si spengono nel pieno della fama. Ma quanti casi servono perché l’eccezione cominci a somigliare a una regola? Da tempo, si sospetta che la celebrità possa nascondere effetti collaterali gravi, ma solo ora una nuova ricerca sembrerebbe confermarlo con dati misurabili e un confronto sistematico.

Lo studio, pubblicato nel Journal of Epidemiology & Community Health e guidato da Michael Dufner dell’Università di Witten/Herdecke, ha analizzato 324 cantanti, attivi tra il 1950 e il 1990, provenienti da Stati Uniti ed Europa.

Gli artisti sono stati divisi in due gruppi: quelli divenuti famosi e quelli rimasti meno noti, ma con caratteristiche simili per età, genere, provenienza e stile musicale. L’obiettivo era isolare l’impatto specifico della notorietà sulla longevità.

I risultati sono sorprendenti: i cantanti famosi hanno vissuto in media 4,6 anni in meno rispetto ai colleghi meno noti. La differenza si fa ancora più evidente quando si confrontano i solisti con i frontman di band: i membri di gruppi musicali mostrano un rischio di morte inferiore del 26% rispetto agli artisti solisti, verosimilmente grazie a una maggiore rete di supporto e a una minore esposizione individuale.

La celebrità come fattore di rischio

Secondo Dufner, l’aumento del rischio emerge chiaramente dopo l’ingresso nella fama, suggerendo che non sia la musica in sé, né lo stile di vita antecedente, ma la notorietà stessa a costituire il fattore critico. L’ipotesi è che il continuo giudizio pubblico, l’isolamento, la pressione a esibirsi e l’accesso facilitato a sostanze psicoattive contribuiscano a creare un contesto psicofisico logorante.

Ma non è tutto. Alcuni individui, afferma Dufner, potrebbero essere spinti verso la fama da vissuti personali complessi o da una vulnerabilità preesistente. In questi casi, il successo diventa un amplificatore di fragilità non risolte, più che un traguardo.

Un ambiente che può isolare

La coautrice Sally Anne Gross, docente alla University of Westminster, sottolinea come l’attuale sistema musicale, reso ancora più spietato dai social media, tenda a isolare l’artista invece di proteggerlo. E a differenza di una dipendenza, dalla fama non si può semplicemente guarire. È un’esposizione permanente, difficile da gestire in autonomia.

Il messaggio, quindi, non è di rinunciare al successo, ma di riconoscere i suoi effetti collaterali. Fermarsi, recuperare relazioni autentiche e valutare criticamente il proprio stile di vita può essere un primo passo. Perché tra la passione per la musica e l’abisso della sovraesposizione, la linea può essere molto sottile.

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